lunedì 9 giugno 2008

LONTANO DA DOVE 2. IL RESPIRO DELLA BIOGRAFIA

Così tra i trenta giorni che si accavallano e diventano un ramo fatto di mesi, le cose procedono, le bandierine anche , e questa cosa nata dal niente o forse dal tutto di un’idea , diventa un progetto che cresce e gli impegni si fanno fitti e le due persone chiamate counselor iniziano i loro colloqui, su cui iniziano a scriversi appunti che finiranno sulla scheda fresca del raccoglitore appena comprato.
Non ne so niente di volontariato, niente di rifugiati politici e integrazione , eppure qualche viso si siede, si intona una voce a quel viso, e lo osservo di là dal tavolo appena fuori dall’ufficio del primo piano, inizio a risentire la lieve folata azzurra che riconosco e abbraccia la gola: il respiro della biografia.
E’ un istante , la storia inizia a pulsare dietro le parole scompigliate sgarruppate di un giovane uomo che racconta stentato i suoi giorni iniziati di là dal globo, nella città chiamata Kabul ,( e per me è solo un nome che esce dai telegiornali col corto suono di un pugno, e la sede di un ospedale di emergency, e una vaga ambientazione di un ancor più vago romanzo letto chissà dove) il respiro esce dal racconto che si muove sotto le forme del viso , e la bellezza di una biografia è un’altra volta distesa tra le invisibili lenzuola che faccio finta di non scorgere qui sopra le nostre teste.
E’ sensatamente assurdo parlare di bellezza , quando i contenuti sono drammatici e i dettagli sono famiglie che scappano, fughe su un asino, viaggi di due giorni nascondendosi dentro il ventre di un camion. Così quando le circostanze sono portate alla luce e la persona in questione emerge dal peso specifico delle circostanze, e dalla sua sequela di immagini, la storia prende il corpo di una narrazione, personalissima e unica, e il respiro che dorme sotto tutte le storie inizia a stillare la sua meraviglia assurda.
E’ il respiro di un compagno segreto che sta sopra o sotto ciascuno , motiva le scelte, induce ad essere in un certo modo, fa prendere certe vie: è il respiro del Daimon. Questa per lo meno è l’unica spiegazione sensata che ho trovato sul perché mi piacciono talmente le biografie che una patologia inguaribile mi fa ascoltarne persino il respiro… i latini parlavano del genius, i greci del Daimon, i cristiani dell’angelo custode. Nel mito di Er Platone racconta che è proprio il Daimon a farci fare le cose che facciamo, sebbene paiano assurde o insensate o irragionevoli, è proprio lui a creare le condizioni , a prima vista incomprensibili, perché la nostra unicità possa venire alla luce.
Cosa abbia tutto ciò a che fare con i colloqui ai rifugiati per il momento lo ignoro : ho ascoltato il respiro senza battere ciglio, e compilato per bene le schede nei raccoglitori, poi sono venuta qui a scrivere, non ne ho potuto fare a meno : è il mio Daimon che me lo chiede.
Ma questa è un’altra storia.

Claudia Carletti

Nessun commento: